http://www.elegio.it/doc/azione-a-distanza.html
Versione 20090226

Azione a distanza : perché non dovrebbe funzionare così?

Premessa

Basta intervistare un qualsiasi esperto di meccanica relativistica per sentirsi dire che in Relatività speciale o generale non esiste il concetto di interazione a distanza perché il concetto stesso di contemporaneità è relativo ossia dipende dal moto dell'osservatore rispetto ad una qualsiasi delle particelle osservate mentre interagiscono tra loro.
Se, a questo punto, ricordo l'articolo di Feynman che suggeriva come trattare l'azione a distanza
J.A.Wheeler, R.P.Feynman "Classical Electrodynamics in Term of Direct Interparticle Action" Rev.of Modern Phys., Vol.21,n.3,pag. 425-433, July 1949 www.elegio.it/doc/wheeler-feynman/
l'esperto sorride e mi dice che il povero Feynman ha fallito e che non ha senso neppure aiutarmi a capire il suo modello. Un tentativo da gettare, da dimenticare !
Personalmente ho qualche pratica di calcoli numerici e so fare le quattro operazioni dell'algebra elementare. Ho presente anche il concetto dei gradi di libertà e cosa vuol dire calcolo differenziale. La prima cosa che mi viene in mente è che se voglio studiare il moto di due particelle che interagiscono tra loro in meccanica classica debbo gestire al più 12 gradi di libertà ossia calcolarmi 3 posizioni e tre velocità di ciascuna particella al variare del tempo.
Se, per mia demenza senile, mi metto in testa di descrivere il moto della coppia in meccanica relativistica, i gradi di libertà delle particelle possono essere, esagerando, 8 per particella ossia quattro posizioni e quattro velocità .. trascurando il fatto che questi gradi di libertà non sono in realtà indipendenti tra loro. Passare da 12 a 16 gradi di libertà per studiare una coppia di particelle non sembrerebbe implicare un aumento pazzesco del peso computazionale .... ma... non esiste il concetto di azione a distanza e dunque le particelle devono interagire solo attraverso i campi da loro stesse generati. Per specificare un campo, ossia una funzione continua che si estende nello spazio e nel tempo potrebbe cominciare ad essere ragionevole usare un reticolo con 100 punti in ogni direzione; essendo 4 le dimensioni spazio_temporali, dovrei mettermi a gestire l'evoluzione di una funzione in un milione di punti spaziali ovvero in cento milioni di punti spazio_temporali. Tutto questo per sapere come variano i 16 gradi di libertà che veramente mi interessano ossia il moto di quelle dannate due particelle che interagiscono tra loro in modo relativistico.
Non è che Feynman avesse ben presente questo dettaglio computazionale quando propose un modello per far interagire a distanza queste dannate due particelle ? Onorato di essere considerato un ritardato mentale come Feynman ( ed oltretutto presuntuoso visto il divario intellettuale tra me e lui) nell'insistere a dedicarmi a queste vili cose numeriche, tento qui di formulare un modello semplice di azione a distanza. Magari è la riscoperta dei potenziali ritardati ma ... se anche fosse un modo per riesumare cose vecchie... almeno con questo modello potrei sperare di trattare la meccanica relativistica con al più un solo ordine di grandezza di difficoltà ovvero peso computazionale. Agli esperti chiedo se, secondo loro, il modello sta in piedi e quale è il suo grado di originalità. Se è un modello arcinoto perché non viene normalmente presentato ai neofiti della relatività ? E se è sbagliato dove sta l'errore ? Non garantisco assolutamente che quantità di moto, momento ed energia siano conservati se non nel limite classico di particelle a bassa velocità rispetto a quella della luce ma... nella realtà fisica una particella accelerata irraggia e dunque non conserva la sua energia etc. dunque, ad alte velocità perché imporre forzatamente questa conservazione ?
Rispetto al modello di Wheeler e Feinman qui non si fa mai uso di potenziali avanzati ossia che richiedono la conoscenza del futuro. Le forze sono sempre determinate in base a quanto accaduto nel passato e questo... mi sembra molto più fisico e digeribile dei potenziali avanzati previsti dall'antico e disprezzato modello del 1949.

Giampaolo Bottoni
26 febbraio 2009


Funzionerà ?

Senza nessuna perdita di generalità cerchiamo di calcolare la forza agente su una particella posta nell'origine e ferma ossia avente velocità nulla. Con opportune trasformazioni di Lorentz e traslazioni possiamo sempre ottenere questa situazione per la particella forzata che si considera.
Se le convenzioni adottate non risultassero comprensibili intuitivamente, visitare la pagina www.elegio.it/mc2/convenzioni-tensoriali.html.
Siamo nello spazio pseudoeuclideo quadridimensionale. Ipotizziamo inoltre che la velocità della luce valga 1. Cerco di non lasciare nulla di sottinteso pertanto... Ogni punto è dato da un vettore con quattro componenti. Se consideriamo i due vettori controvarianti:

A1i = [ A1t , A1x , A1y, A1z ]
B1i = [ B1t , B1x , B1y, B1z ]

I vettori covarianti scritti usando sempre le componenti controvarianti sono dati da:

A0i = [ A1t , −A1x , −A1y, −A1z ]
B0i = [ B1t , −B1x , −B1y, −B1z ]

Pertanto il prodotto scalare A0i·B1i è dato da:

A0i·B1i = A1i·B0i = A1t·B1t − A1x·B1x − A1y·B1y − A1z·B1z

mentre la qnorma di un vettore è data da:

qn( A1i ) = qn( A0i ) = A1t2 − A1x2 − A1y2 − A1z2

Naturalmente le qnorme e i prodotti scalari sono degli invarianti ossia sono quantità che non variano al cambiare del sistema di riferimento inerziale ossia qualunque trasformazione di Lorentz sia applicata ai vettori.
Ogni punto è caratterizzato da una posizione e da una velocità. I vettori della velocità sono versori rispetto alla loro qnorma ossia qualunque velocità deve avere qnorma unitaria. Un punto fermo ha nulle le componenti spaziali della velocità ma ha una velocità unitaria rispetto al tempo per cui la sua qnorma vale effettivamente 1 come deve essere sempre.
Questa condizione di normalizzazione si ottiene facilmente imponendo a piacere le componenti spaziali della velocità ma scegliendo la componente della velocità rispetto al tempo in modo che il vincolo della qnorma unitaria sia automaticamente rispettato.
Se U1i è una velocità allora si impone:

U1t = ( 1 + U1x2 + U1y2 + U1z2 )½

dove U1x, U1y e U1z possono assumere valori arbitrari sia positivi che negativi.
Altra importante categoria di vettori oltre ai versori della velocità sono i vettori luce ossia i vettori che hanno qnorma nulla. Questi vettori luce dipendono anche essi da solo tre componenti spaziali mentre la componente rispetto al tempo va scelta in modo che sia rispettato in vincolo della qnorma nulla. Se S1i è un punto nello spazio tale da avere una distanza nulla dall'origine ( dove per distanza intendo la qnorma ) la componente S1t dipende dalle arbitrarie componenti spaziali S1x, S1y, S1z dal vincolo:

S1t = −( S1x2 + S1y2 + S1z2 )½

Si noti il segno meno per la posizione nel tempo. Il punto S1i per poter essere a qnorma nulla rispetto al punto O1i posto nell'origine deve essere preso ad un tempo negativo per dare modo al raggio di luce di raggiungere il punto O1i che ha come posizione nel tempo O1t = 0.
Come è immediato verificare che la velocità U1i ha qnorma 1 è anche automatico verificare che S1i ha qnorma 0 ossia è un vettore luce.
Il calcolare la qnorma di un vettore luce non dà nessuna informazione su tale vettore perchè tale vettore ha qnorma 0 per definizione di vettore luce e similmente non dà nessuna informazione il calcolare la qnorma di qualunque velocità perché per costruzione tale qnorma è unitaria.
Ma ha senso il prodotto scalare tra un vettore luce e una velocità perchè ogni prodotto scalare tra due vettori agenti su uno stesso punto è un invariante.
La velocità del punto O1i sia V1i e siccome abbiamo stabilito di scegliere un sistema di riferimento inerziale in cui il punto nell'origine è fermo ecco che deve essere:

V1t = 1
V1x = V1y = V1z = 0

Il prodotto scalare V0i·S1i = V1i·S01 è dunque un invariante che è ricco di valore informativo dato che vale:

V0i·S1i = −( S1x2 + S1y2 + S1z2 )½ = S1t

Non si faccia confusione: in questo caso S1t non è la componente rispetto al tempo del vettore luce S1i, ma è un invariante ossia il risultato di un prodotto scalare. Per evitare ambiguità lo si indichi con una variabile scalare che scegliamo essere r ossia:

r = −V0i·S1i = −S1t

Cambiando sistema di riferimento cambieranno coerentemente sia le componenti di V1i che quelle di S1i ma certo non cambierà il valore di r. Questo parametro scalare può essere usato come l'argomento di una qualsiasi funzione potenziale U(r) in analogia con quanto avviene nella meccanica classica nella quale il potenziale tra due punti è una funzione della distanza tra i due punti stessi. Per questo motivo è stato assegnato all'invariante il nome di r ... perchè a velocità della luce infinita ossia in meccanica classica, rappresenta appunto la distanza tra il punto sorgente e il punto su cui agisce la forza e che abbiamo supposto stare nell'origine ed essere fermo. In meccanica relativistica viceversa il valore di r è qualcosa di piu' complesso, legato al raggio di luce che arriva nell'origine essendo stato emesso dal punto sorgente...
Ma definire il potenziale in relatività non è tutto ! Bisogna stabilire come fare a dedurre le componenti della forza che deve imprimere l'accelerazione alla particella posta nell'origine e ferma.
Innanzi tutto, essendo noi in uno spazio quadridimensionale potremmo credere di dovere dedurre dal potenziale quattro componenti. Non è così. Bisogna sempre ricordarsi che l'accelerazione deve sempre essere ortogonale alla velocità del punto e questo vincolo abbassa da quattro a tre i gradi di libertà con cui si può assegnare o determinare una forza.
Non a caso si è imposto che la particella sia ferma. Questo vuol dire che la velocità dell'origine ha una sola componente non nulla ossia la velocità rispetto al tempo. Essendo nulle tutte le componenti spaziali della velocità la forza deve avere solo componenti spaziali e nessuna componente nel tempo perchè questa componente distruggerebbe l'ortogonalità tra forza e velocità.
In meccanica classica per calcolare la componente lungo l'ascissa della forza si deriva il potenziale rispetto ad x ma si considerano costanti le coordinate del punto sorgente.
Ecco dunque la grande differenza :
In meccanica relativistica prendendo un punto infinitamente vicino all'origine ma mantenendo fisso il punto sorgente si perderebbe la proprietà che ciò che lega il punto sorgente al punto forzato deve essere un raggio di luce ossia la qnorma deve essere esattamente zero ! Pertanto assegnato uno spostamento infinitesimo del punto forzato bisogna fare uno spostamento compensativo del punto sorgente seguendo la traiettoria che il punto sorgente ha desctitto all'epoca in cui ha emesso il raggio di luce destinato ad essere ricevuto dal punto forzato.
In poche parole facendo il gradiente del potenziale va considerato variabile non solo il punto forzato ma anche quello sorgente. Se il punto sorgente ha la stessa velocità del punto forzato, quando il punto forzato è fermo lo è anche il punto sorgente e si ottiene la forza che si ottiene in meccanica classica. Ma se la diversità di velocità tra punto forzato e punto sorgente è forte ... allora in meccanica relativistica la forza è ben diversa da quella classica !
Per fare i passaggi matematici è opportuno semplificare la simbologia. Si ponga dunque:
t = −r = −( S1x ² + S1y ² + S1z ² )½
x = S1x
y = S1y
z = S1z
t = ( 1 + U1x ² + U1y ² + U1z ² )½
x = U1x
y = U1y
z = U1z

Sia δ uno spostamento infinitesimo in direzione delle ascisse. Il punto spostato non sta più nell'origine ma in [ 0, δ, 0, 0]. Per fare in modo che la sorgente stia a distanza nulla dal punto spostato dobbiamo spostarla in modo infinitesimo ossia portarla in [ t + σ·tx + σ·xy + σ·yz + σ·z ] e pertanto, assegnato δ, occorre trovare σ in modo che:

( t + σ·t )² = ( x + σ·x − δ )² + ( y + σ·y )² + ( z + σ·z

ossia:

t² + 2·t·σ·t + (σ·t)² = x² + (σ·x)² + δ² + 2·x·σ·x − 2·x·δ − 2·σ·x·δ + y² + (σ·y)² + 2·y·σ·y + z² + (σ·z)² + 2·z·σ·z

ma dato che stiamo lavorando su quantità infinitesime possiamo trascurare δ², σ² e δ·σ e ricordandoci che t² = x² + y² + z² otteniamo:

t·σ·t = 2·x·σ·x − 2·x·δ + 2·y·σ·y + 2·z·σ·z

Ossia:

( t·tx·xy·yz·z )·σ = −x·δ

Abbiamo così scoperto che il gradiente dell'invariante −S0i·V1i ovvero r che indicheremo con F1i ha la semplice ma non completamente ovvia formula:

F1i = ( S1i − ( V0k·S1k )·V1i )/(U0k·S1k)

La covarianza di questa espressione è evidente e dunque questa espressione vale anche se non abbiamo operato apposite trasformazioni inerziali per fare in modo che il punto forzato sia fermo e collocato nell'origine.

Come prima verifica, tenendo presente che V1i·V0i = 1, notiamo che F1i·V0i = F0i·V1i = 0 ossia la forza è sempre ortogonale alla velocità del punto forzato. Questo vincolo è fondamentale poiché la forza, nell'equazione di Newton-Einstein, deve essere uguale al prodotto della massa propria per l'accelerazione e dovendo essere l'accelerazione sempre ortogonale alla velocità ...lo deve essere anche la forza.
Se il potenziale è una funzione di r ossia U=U(r) allora la forza si calcola derivando il potenziale rispetto ad r e poi moltiplicando il risultato ( che è uno scalare essendo il potenziale stesso uno scalare essendo funzione di r ) per il vettore forza prodotto da r ossia F1i.

Vista l'importanza della formula della forza esercitata dall'invariante r provo a scrivere le formule delle quattro componenti di questa forza per esteso.
Riepilogando, nella formula compaiono i seguenti tre vettori che scriviamo sia in forma controvariante che covariante. Si noti che adotto la regola di sottolineare le componenti della velocità:

r = ( x² + y² + z² )½
r = ( x² + y² + z² )½
R = ( X² + Y² + Z² )½
V1i = [ ( 1 + R² )½ , X , Y , Z ]
V0i = [ ( 1 + R² )½ , −X , −Y , −Z ]
S1i = [ −r, x, y, z ]
S0i = [ −r, −x, −y, −z ]
U1i = [ ( 1 + r² )½ , x , y , z ]
U0i = [ ( 1 + r² )½ , −x , −y , −z ]

Per cui si ha:

F1t = r − ( 1 + R² )½ · ( r·( 1 + R² )½ + x·X + y·Y + z·Z )
r·( 1 + r² )½ + x·x + y·y + z·z

F1x = x + X · ( r·( 1 + R² )½ + x·X + y·Y + z·Z )
r·( 1 + r² )½ + x·x + y·y + z·z

F1y = y + Y · ( r·( 1 + R² )½ + x·X + y·Y + z·Z )
r·( 1 + r² )½ + x·x + y·y + z·z

F1z = z + Z · ( r·( 1 + R² )½ + x·X + y·Y + z·Z )
r·( 1 + r² )½ + x·x + y·y + z·z


A questo punto ho tutti gli strumenti modellistici per descrivere un sistema di particelle che interagiscono tra loro in ambito relativistico, mediante potenziali scalari.
In meccanica relativistica non è possibile assegnare , al tempo iniziale ossia al tempo zero, soltanto le posizioni e velocità delle particelle. Occorre specificare le loro traiettorie in modo che ogni particella possa sapere dove stavano le altre particelle quando hanno emesso le forze che, viaggiando alla velocità della luce, giungono ad agire su ciascuna particella all'istante zero ossia all'istante oltre il quale non sono note le traiettorie che vanno dunque calcolate con le equazioni della meccanica relativistica. Ovvio che il dovere specificare per ogni particella non una coppia di vettori ( la posizione e la velocità ) ma addirittora un intero segmento di traiettoria lungo il quale sono noti posizioni è velocità.. solleva molti problemi operativi: richiede una mole di dati alta o addirittura altissima, teoricamente infinita poiché il numero di punti di un segmento di traiettoria sono infiniti... Un modo empirico che tenterei di usare se avessi fatto prove in tal senso, sarebbe quello di integrare le equazioni del moto usando la meccanica classica ma con l'asse del tempo invertito ossia note le velocità al tempo zero, cambierei il loro segno e procederei a ritroso nel tempo fino ad avere gli spezzoni di traiettoria necessari per iniziare la simulazione relativistica. Dopo essermi dunque ricostruito il passato con la meccanica classica procederei alla simulazione relativistica. Ovviamente questo metodo comporterà pochi errori di inizializzazione se il sistema nel passato sarà stato caratterizzato da basse velocità delle particelle ossia fosse stato trattabile con buona approssimazione con la meccanica classica.